Fino a poco più di vent’anni fa, quando veniva pronunciato il nome del Sudafrica la prima parola che veniva in mente era apartheid: intolleranza, razzismo e separatismo erano le parole chiave di una nazione schiava del grande muro che divideva la popolazione, macchiato dal sangue e dai numerosi scontri, sul cui sfondo correvano grossi interessi economici legati alle numerose miniere di oro e diamanti, che condizionavano anche la cultura delle genti.
La data dell’11 febbraio 1990 definisce lo spartiacque di una nuova epoca, segnata dalla liberazione di Nelson Rohihlahla Mandela, che era stato segregato nelle prigioni di Stato per trenta, lunghi anni. Mandela è stato il principale fautore dell’African National Congress (ANC), di cui capeggiava le file, con il quale aveva messo in piedi un solido movimento politico che si opponeva fermamente alla svolta razzista del governo Sudafricano postbellico.
La liberazione del leader carismatico dell’ANC ha costituito un momento cruciale di grande carica emozionale per tutto il mondo, paragonabile solo alla caduta del Muro di Berlino, che sicuramente ha svolto un ruolo più importante a livello globale, se si pensa alle conseguenze del crollo dei sistemi comunisti sullo scacchiere internazionale. Tuttavia, la fine dell’apartheid ha avuto una valenza sociale enorme, che trascende i confini territoriali relativamente piccoli del Paese, soprattutto per quanto riguarda gli effetti umani e demografici che si sono verificati all’indomani del declino di un autoritarismo basato sull’istituzionalizzazione del razzismo e della segregazione sociale, artefici di un pesante sconvolgimento culturale e politico dell’intera regione australe africana.
I padri di questo successo della democrazia e della libertà sono Nelson Mandela e il presidente sudafricano in carica in quegli anni, Frederich Willem de Klerk, fautore nei fatti dell’abolizione dell’apartheid; entrambi sono stati premiati nel 1993 con il premio Nobel per la pace.
Il passaggio del Sudafrica alla completa democratizzazione si è compiuto nel 1994 con l’istituzione delle prime elezioni libere del Paese, che hanno visto come insignito della carica di presidente della Repubblica lo stesso Mandela, primo capo di stato di colore della storia della nazione; ed è proprio un rappresentante di quella maggioranza nera della popolazione, da sempre politicamente soppressa e sottaciuta, il traghettatore del nuovo corso del Sudafrica.
La condotta dell’apartheid iniziò nel 1948, dopo il trionfo alle elezioni del National Party, partito di rappresentanza Afrikaner, anche noti come Boeri, ossia gli eredi dei primi coloni olandesi che si stabilirono in Sudafrica nel 1652.
Il termine apartheid in afrikaans significa “sviluppo separato”, e spiega benissimo le quattro divisioni razziali che distinguevano i cittadini: c’era il gruppo dei bianchi, dei coloured, ossia le persone di derivazione mista, dei bantu, cioè i neri africani, e quello degli asiatici, come pakistani ed indiani.
Ogni gruppo possedeva un determinato numero e tipo di luoghi dove potevano vivere, definite tipologie di lavoro che potevano esercitare e precisi sistemi scolastici a cui si dovevano attenere. Tutte le interrelazioni tra i gruppi erano tassativamente vietati, i luoghi pubblici prevedevano zone separate per ogni casta di popolazione e tutti i non bianchi erano esclusi dalla partecipazione politica attiva e passiva.
Nel 1951 la politica dell’apartheid toccò il suo massimo culmine con la fondazione dei Bantustan, detti anche Black Homelands, cioè delle zone di terreno destinate ai gruppi bantu della nazione; in questo modo, i gruppi etnici rimanevano segregati in una parte del territorio e potevano essere controllati ed estromessi dalla gestione degli interessi economici del Paese, come i numerosi giacimenti minerari, la costruzione di infrastrutture, l’agricoltura in regioni fertili e l’istituzione di zone industriali.
Con queste manovre, il National Party riuscì a condurre le sue politiche senza particolari oppositori; la minoranza di protesta, infatti, fu velocemente repressa e ridotta al silenzio. Inoltre, il solido appoggio elettorale era garantito dall’intero gruppo dei Bianchi, ai quali venivano in cambio garantiti ottimi livelli di sicurezza in generale ed una solida posizione privilegiata in tutti i settori.
Il successo della durata dell’apartheid, sebbene le condanne internazionali siano state molto dure e pesanti, tanto da condizionare le relazioni e le attività del Sudafrica con tutto il mondo, consisteva nella potentissima leva data dal sistema economico, retto dal ricchissimo sottosuolo della nazione: l’attività di estrazione mineraria è un’attività incessante e di intensiva produzione, principiata a metà del 1800. Nel 1867, infatti, fu scoperto un diamante di oltre 21 carati presso Hopetown, lungo il fiume Orange; i primi giacimenti d’oro, che poi diventarono quasi la metà dell’intera riserva aurifera globale, furono localizzati circa nel 1873 vicino Lydenburg, nel Transvaal, e da allora il Sudafrica ha aumentato la sua attività estrattiva fino a divenire il primo produttore di oro al mondo ed il terzo di diamanti.
A completamento del quadro, poi, il Sudafrica è anche ricchissimo di carbone, cromo, manganese, platino, uranio, vanadio ed altri elementi.
A differenza di altri Stati africani decolonizzati, il Sudafrica si è distinto per multirazzialità, indicando con questo termine una perfetta integrazione dei coloni bianchi nel territorio; se infatti alcune ex colonie, spesso di matrice portoghese, hanno subìto velocemente l’emigrazione della minoranza bianca durante il processo di decolonizzazione, in Sudafrica gli abitanti bianchi si sono sempre identificati come africani tout court. Ed è anche per la loro peculiare minoranza numerica che i bianchi hanno attuato le severe misure di segregazione etnica e culturale, partendo dall’anacronistica struttura coloniale che ne certificava la loro superiorità; questa egemonia, poi, si è rafforzata con il tempo, tessendo attorno ad essa una fitta trama di attività economiche e politiche, partite, sin dalla seconda metà del XIX secolo, dall’accumulazione di beni e risorse minerarie. Da qui, la scalata dell’elite è stata agile, convogliando verso di essa anche gli interessi delle aziende manifatturiere e del mondo della finanza, creando un solido, grande nucleo di produzione basato sul proprio capitale, reiterato e generato come causa ed effetto dell’apartheid.
Tuttavia, il generale avvio a livello mondiale delle politiche di globalizzazione e reciprocità, alla fine degli anni Ottanta, pose in discussione l’ormai inopportuno sistema dell’apartheid; questo processo in interdipendenza, però, non aveva mai visto il Sudafrica come protagonista, a causa proprio dell’apartheid, che portò gran parte delle nazioni del mondo a boicottare le attività finanziarie e commerciali dello Stato africano, cosicchè il Sudafrica orientò la sua economia in senso autarchico, trasformando le sue risorse interne direttamente sul suo territorio, ricorrendo all’import substituction, che permetteva la sussistenza anche se estromessi dai traffici mondiali.
Le ragioni della trasformazione del Sudafrica, che solo qualche anno prima apparivano insperati ed impensabili, risiedono in pochi, decisivi elementi: come se non bastassero i focolai di opposizione al governo, anche i processi economici stavano erodendo la base della struttura sociale vigente; il Sudafrica aveva necessità di apprendere ed acquistare le tecnologie dell’Occidente, e l’Occidente stesso aveva bisogno delle risorse naturali dello Stato boicottato. Per di più, numerose frange della popolazione bianca si erano attivate per accelerare le nascenti misure antirazziste, anche per paura di cadere in una profonda crisi economica e sociale.
L’eredità lasciata dall’apartheid è pesante ed ancora tangibile: in Sudafrica convivono realtà paradossali e fortemente contrastanti, come se ci fossero due mondi, uno industrializzato, efficiente in tutti i campi, benestante ed occidentalizzato, l’altro - invece - arretrato, povero e sottosviluppato a livello socioculturale e finanziario. Non per caso, un dato della Banca Mondiale denuncia che il Sudafrica è la nazione al mondo con il più elevato gap di distribuzione del reddito tra la popolazione. Difatti, la frangia povera dei cittadini rappresenta il 53% del totale, e le cifre del loro consumo sono pari a quelle della popolazione benestante o ricca, rappresentata nel 6% del totale.
Le diseguaglianze continuano anche nell’ambito dei servizi: per esempio, i tre quarti delle case non sono ancora fornite di elettricità, nonostante la nazione goda di una ricchezza mineraria senza eguali. Un altro esempio chiarificatore è quello della sanità, giacchè la maggioranza dei cittadini non può avere accesso ad un servizio sanitario efficiente e all’avanguardia, sebbene il Sudafrica sia la patria del primo trapianto di cuore avvenuto nel mondo, negli anni Sessanta, ad opera di Christian Barnard. Le infrastrutture, poi, chiudono il cerchio: grandi città europeizzate, opulente e moderne sono cinte da massivi ed informi inurbamenti spesso diroccati e pericolanti, dove vivono cittadini di colore: sono le townships, veri e propri mondi paralleli affiancati alla tecnologica realtà urbana tecnologica.
L’obiettivo del successore di Mandela, Thabo Mbeki, è quello di prendere in mano il Programma di sviluppo e ricostruzione elaborato nel 1994 e ridurre il più possibile le disuguaglianze sociali ed i divari tra le fasce di popolazione, anche se le previsioni di miglioramento si attestano intorno alla decade. A proposito, fu di grande effetto il discorso pronunciato dal presidente Mandela , appena eletto dalla popolazione, all’inaugurazione del Parlamento, nel quale avviava il governo a “creare una società libera dal bisogno, dalla fame, dalla privazione, dall'ignoranza e dalla paura”, una società invero mai vista e concepita in Sudafrica.
Il Sudafrica si affaccia al nuovo millennio molto cambiato sia in campo istituzionale che per quanto riguarda i diritti politici e civili, mentre poco è mutato nella ripartizione delle ricchezze e del benessere sociale. Tuttavia, i miglioramenti sono già visibili: è in atto l’integrazione di dirigenti e manager di colore nelle attività svolte dai bianchi, anche se alcuni settori, come quello industriale, minerario e finanziario, sono ancora totalmente in mano a lobbies bianche. Alcune società di investimento stanno spostando i loro capitali, focalizzandosi sugli interessi dei gruppi neri, e molte holdings industriali si stanno aprendo alla diversificazione delle proprietà, sempre in favore dei gruppi neri.
La comunità internazionale ha poi riveduto la posizione del Sudafrica in seno ai suoi cambiamenti interni: da nazione boicottata, è stata gradualmente inserita all’interno dei circuiti mondiali di tutti i settori, grazie anche alla figura positiva e carismatica di Mandela. Il Sudafrica ha così potuto firmare alcuni trattati sovranazionali, come la Southern African Development Community (SADC), della quale ha anche retto la presidenza dal 1996 per tre anni o la Convenzione di Lomè, che amministra i rapporti tra UE e più di 70 Stati africani, caraibici e del Pacifico; inoltre, il Sudafrica è diventato membro di molti organismi internazionali. Il quesito conclusivo si interroga riguardo la durata e la concretezza dei mutamenti in Sudafrica, anche se quello che è stato fatto sembra davvero un roseo presupposto.
La cerimonia di pronta elezione di Thabo Mbeki ha visto la partecipazione di un parlamento eterogeneo e molto colorato: i 400 membri si sono presentati vestiti con turbanti variopinti, tuniche decorate, begli abiti occidentali e sari indiani, come buon augurio per una crescente multiculturalità ed un giusto contributo di tutte le etnie e le culture al processo decisionale dello Stato, sperando che questo si trasmetta anche nei luoghi pubblici, nelle aziende, per le strade, nelle miniere e nelle industrie, a testimonianza della nuova rotta intrapresa dal Paese.
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